Un lavoro di teatro d’attore, anzi d’attrice, sul tema del corpo che cambia, che invecchia,che decade, in particolare il corpo femminile.
Un omaggio all’arte di Federico Fellini, costruito a partire dai racconti della vita e della famiglia d’arte di Andrea Santonastaso, in un personale “amarcord” in cui ognuno può ritrovare un po’ di se stesso.
Uno spettacolo senza parole ma con tante scarpe e qualche braccio. Una drammaturgia originale scritta per raccontare, attraverso la poesia, l’incanto e la magia del gioco teatrale, la vita di chi è perseguitato perché considerato diverso.
La vicenda di Sekou si snoda in parallelo a quella dell’attrice che la racconta e che in quel racconto si rispecchia e si interroga.
Uno spettacolo dedicato a Sandro Pertini. Con questo spettacolo Bonazzi, Poli e Santonastaso, dopo il grande successo di Mi chiamo Andrea, faccio fumetti dedicato ad Andrea Pazienza, tornano a raccontare una biografia esemplare a cavallo tra anni Settanta e Ottanta, nella convinzione che in quei due decenni abbiano germinato pensieri e situazioni con cui ora più che mai occorre confrontarsi.
Il Labirinto è uno spettacolo post-teatrale in realtà virtuale, innovativo nel linguaggio e nelle modalità di fruizione, in cui ogni spettatore sarà dotato di un visore, uno speciale dispositivo che proietta chi lo indossa in uno scenario così realistico da sembrare vero.
Il lavoro, nato nell’estate del 2018, prende le mosse da testimonianze vere. Da un lato una giovane profuga siriana incontrata dai due autori a Lugano, dall’altro un reportage inchiesta durato due anni e mezzo tra Europa Medio Oriente e Africa “a caccia di trafficanti”. Un lavoro che mette in scena il più grande fenomeno dei nostri tempi.
Nel ventre narra la storia di un’attesa: Ulisse, Epeo (artefice del cavallo), Neottolemo (figlio di Achille) e un pugno di soldati sono nascosti dentro il cavallo, fuori dalle mura di Troia. È l’ultimo capitolo di una lunghissima guerra, i compagni di armi hanno abbandonato la spiaggia i Troiani li hanno visti partire.
Mi chiamo Andrea, faccio fumetti è una biografia, ma non è una biografia. È un monologo disegnato.
«C’era una volta il popolo. Era un popolo ottimista, che credeva in sé e si impegnava in attività improduttive, tipo costruire “case” dove ritrovarsi tutti insieme a fare cose ricreative, per esempio ballare o giocare a carte.»
Un bès, dam un bès! Dammi un bacio... Ma chi lo dà un bacio allo scemo del paese, al pazzo emarginato?
Tre diverse storie, tre finali quasi "gialli" per raccontare la follia della guerra e il fascino malefico del potere.
Nell’asettica tranquillità di una clinica svizzera, Dorra, dopo silenzi ostinati e furiosi, ripercorre le ragioni dell’odio secolare di cui è stata vittima, mentre Kate annota i progressi della sua condizione, integrandoli con osservazioni teoriche sulle pulsioni di aggressività che l’uomo balcanico mostra nei confronti delle donne. Quando la volontà di annientamento di Dorra sembra prevalere, un evento inatteso riapre la porta alla speranza.
C’è un personaggio nell’Odissea che mi rappresenta. Un personaggio che vive una condizione a me familiare. Un personaggio che molti non ricordano neanche: Telemaco. Ho provato a chiedere in giro e, difatti, molti ricordano un cane - Argo, mi pare... - ma non un figlio. Io, invece, ne ho sempre subito il fascino, perché la sua attesa è carica di suggestioni. Telemaco non ha ricordi di Ulisse, non l’ha mai visto, non sa come è fatto, non sa il suono della sua voce: per Telemaco, Ulisse è solo un racconto della gente.
Ed è proprio questa assenza ad aprire infinite possibilità nei pensieri di Telemaco. Lui è l’unico personaggio dell’Odissea che può costruire una figura di Ulisse calibrata a suo piacimento. I pensieri di Telemaco, forse, sono l’unico luogo dove Ulisse può essere ancora un eroe. Tutti gli eroi, infatti, mancano di quotidiano. Così, del resto, accadeva a me bambino, con un padre lontano che, nella mia testa, assumeva tratti epici. Ma Telemaco non è solo. E’ circondato dalla quotidianità di una madre reclusa in casa; dalla gente che non sapendo che fare tutto il giorno al bar del paese, mormora su sua madre e sul mancato ritorno di questo padre; dal mare del Salento che, ammaliato dagli incontri terrificanti e straordinari di Ulisse, lo trascina senza sosta nei luoghi remoti della terra per poter ascoltare nuove storie.
Una provincia degradata e dai contorni sfumati; un tempo indefinibile, in bilico tra passato e presente; quattro personaggi abitati da furori indomabili.
Dopo il consenso ottenuto con la prima parte del progetto Italiani cìncali, dedicata ai minatori del Belgio (150 repliche in Italia e all’estero in poco più di un anno - candidatura in finale al Premio Ubu come nuovo testo italiano), debutta il secondo capitolo incentrato sull'emigrazione in Svizzera, fenomeno che giunse al suo massimo incremento durante gli anni ’60. La legislazione, tuttora vigente, in materia di emigrazione e l’ostilità diffusa della popolazione locale ne hanno fatto un altro capitolo efferato della nostra storia recente, talmente vicina nel tempo, che potremmo parlare di cronaca.
Italiani cìncali! è un progetto teatrale sull'emigrazione italiana del secondo dopoguerra nato nell'inverno 2002 e che darà vita a due spettacoli distinti. La prima fase è terminata nel settembre 2003, con la messa in scena del primo dei due spettacoli, incentrato sul primo caso di emigrazione assistita dallo Stato del dopoguerra, ossia, i minatori italiani in Belgio. Nel 2005 è stata presentata la seconda parte che si è occupata di Francia, Svizzera e Germania.
Ofelia è una ragazza a cui piacciono i fiori. Qualcuno dice che è matta, qualcun altro che ci fa e basta. Suo padre, partito per la guerra, le ha lasciato una serra in uno stato veramente pietoso. Ma a Ofelia piacciono i fiori, sa come si trattano, parla con loro. Il problema è che ad Amburgo, nel 1941, non è semplice trovare concimi e diserbanti.
2024 - Teatro dell'Argine Società Cooperativa Sociale
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